Pubblicato in: Life

Il giorno di dolore che uno ha

C’è dolore e dolore, certo. Ma non c’è scala che ne determini l’intensità e la percezione. Ognuno poi reagisce ai dolori a suo modo, con il suo stile con una sorta di lente che in alcuni di noi rimpicciolisce, in altri ingrandisce; una lente che “lavora”a tratti.
Giorni in cui non riemergi, ci affoghi dentro al dolore. Questa foto era di uno di quei giorni lì in cui affogavo, ci sguazzavo, nuotavo dentro e non vedevo luce. Scomparivo, anche fisicamente perdendo peso e lacrime che non finivano mai. Il fastidio di chi rimpicciolisce e pretende lo faccia anche tu.
E allora ti chiudi.
Non fai trapelare. Impari a fingere e a nascondere.
Non ti esponi più.
Eviti di parlare perché hai capito che non serve e che chi ti ascolta non può e non sa risponderti, a volte neppure ascoltare senza giudicare.
Gli occhi ancora lucidi per il pianto e l’illusione che un po’ di gloss sulle labbra potesse nascondere la tristezza dietro un sorriso tirato.
Non c’è uscita “felice”da certi dolori perché irrimediabilmente ci cambiano.
Non siamo più i noi che eravamo.
In questo senso si rinasce e si ricomincia da capo a riconoscersi nella nuova pelle e a curarsi le cicatrici. Che a tratti pulsano e riaffiorano a ricordarci che ci è data perfino la possibilità di sopravvivere al male.

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Feroce-mente

Alla mia innata e, a tratti, faticosa “ferocia” critica con me stessa.
A questo io troppo narrante e troppo tutto, tanto che mi ritrovo in giorni in cui mi divento così antipatica da detestarmi. Dalla testa ai piedi. A questi limiti così maledettamente umani che accolgo negli altri come un valore e in me come imperdonabili difetti.
A quei momenti in cui non mi riconosco perché mi trovo insopportabilmente imperfetta e divento feroce con me stessa.
A questa mia adorabile e detestabile imperfettibilità con cui convivo da sempre e con cui combatto ogni giorno.

Pubblicato in: Life

Tempesta di rosso

Pelle, viso e corpo, sulla ghiaia umida. I piedi lambiti dalle onde e il grido delle cicale. Il forte aroma di salsedine che completa l’appagamento dei sensi. La testa, libera da urgenze, fluttua.

Eccoti e non a caso, se, aprendo faticosamente gli occhi, un visetto curioso mi è comparso davanti. Un bambino dietro ad una palla. Il mio sguardo annebbiato ha fatto in tempo a cogliere un riconoscibilissimo taglio d’occhi; lì, a fianco a me. Un caso, forse. O forse no.

Richiudo gli occhi e ti sento, ti vedo, ti ascolto nell’inconfondibile nuvola di riccioli rossi.

Bagnate, fradice, in costume, felici e inconsapevoli come mai, mai più nella vita lo saremmo state. Sento perfino la tua voce, la tua risata e quell’ indomita vivacità che ci accomuna.

Un’ irrequietezza che non è mai scemata.

In te più che in me.

A tratti la mia si è addormentata, in te mai. La tua brevissima vita non ti ha dato modo e tempo di farlo. Mentre sonnecchio, appagata, rivivo attimi, scambi che da leggeri si fecero, negli anni, col tempo, sempre più intensi e pesanti. La maturità sa sempre cosa, crudelmente, appesantire.

Non so più il tempo che impiegò la vita a correre su binari noti e rassicuranti per me. So che mi accontentò dandomi ciò che le chiedevo, dando corpo e vita ai miei desideri.

La tua invece si fermò su un marciapiede dove, ignara e inconsapevole, procedevi con il tuo zaino sulle spalle.

“Sembrava correre”, ecco l’inganno teso dalla vita.

Il tuo tragico Ro’.

Difficilmente la vita corre su binari imposti. Alla nostra età, ancora, credevamo fosse così. Capimmo tragicamente e troppo presto quanto ci ingannavamo.

Mi risveglio, mi tuffo e ancora…. quel mitico “guado” fra gli scogli proprio lì, davanti a me. Cercavamo un luogo nascosto e appartato per le nostre confidenze da giovanissime e fu un’ “impresa” che, nei pochi anni restanti, ricordammo con struggente tenerezza.

Il tempo di asciugarmi al sole e poi la fatica, gli scalini, le rocce che, sempre, raccontano storie.

Oggi la tua, la nostra, le nostre.

Il dolore forte e improvviso alla notizia. Quel dolore assurdo, incredulo e condiviso che ancora accomuna chi c’era, chi doveva esserci ma avrebbe voluto tanto sparire, scappare da quella realtà troppo grande per tutti e per noi in particolare.

E poi i pensieri e i sogni che ci accomunarono, che ci resero complici e che sono rimasti lì, immobili, come se tutto questo tempo non fosse passato. Le nostre storie si sarebbero divise, o forse no. A legarci è certo l’ incertezza su ciò che sarebbe stato, che poteva o non poteva essere.

Così, quando sono intrise di malinconia, le storie di vita sono le migliori possibili.

Sagge Ro’ non lo eravamo, neanche un po’.

Oggi rossi tutti i miei pensieri.

Rosso, che, da sempre, associo a te.

Per te, solo per te, i miei pensieri saranno un fermo “per sempre”.

Tempesta di rosso.

In testa, nel cuore, sulla pelle.

Pubblicato in: In classe

Parole non-parole

Fraintese o incomprese, poco importa. Ho cercato e scelto con cura le parole spese cercando di essere autentica come loro. Credo di esserci riuscita quasi sempre.

Il solito rammarico nei confronti di coloro, pochi, che, invece, non hanno colto, non mi hanno compresa o, appunto, mi hanno fraintesa. Mi dispiace sempre un po’ lasciare le cose in sospeso ma ho capito che può andar bene anche così e che scavare troppo può far emergere ciò che non si vuole affiori. Nessuno può ergersi a giudice dei comportamenti altrui perché non sappiamo nulla delle vite degli altri: mi sono sforzata di non farlo mai e ho, sapientemente, questa volta sì, risparmiato inutili confronti, fedele all’obsoleta, ma verissima, affermazione che chi ci vuole nella propria vita trova il modo di spiegarsi. Se non lo fa, ha i suoi buoni motivi.

Mi sono scoperta più saggia e avveduta e ho arginato, a volte con fatica, la mia voglia di capire, di scavare, di scoprire. Imparo a vivere, come chiunque su questa terra.

#nascita

💫✨Il silenzio dell’attesa. La forza della nascita e il fragore che l’accompagna. Le ho provate, le ho sentite esplodere “dentro”. Ho vissuto fino in fondo anche l’altra faccia della vita, quella meno bella, quella che fa paura.

La Vita che fluisce è il Dono. A noi il racconto, la magia. 💫✨

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Del rientro

La miglior accoglienza possibile sono i sorrisi, l’ascolto e l’attenzione. Questo vogliono i bambini, in questo credono e sperano. Arrivano un po’ stropicciati ma con quel lampo negli occhi: “Mae… sapessi…” sembrano dire. E raccontano episodi che sembrano banali ma che ai loro occhi sono sembrati eccezionali, unici, perché vissuti intensamente con le persone giuste per loro in quel momento. Momenti, sprazzi, immagini che sono rimasti lì, negli angoli della memoria. E noi ad ascoltarli, uno alla volta…

Si capisce molto della loro vita e dei loro vissuti ascoltandoli. Poi, piano piano…vogliono mostrarti, farti “vedere”. Disegnano, colorano per mostrarti i particolari. “Guarda mae, che bel granchio ho catturato!”. Lo confesso: nonostante i molti anni di esperienza non sono mai riuscita ad “attaccarmi” ai loro ricordi per tirarci su una lezioncina. Mi manca proprio la forza, il coraggio. Quel granchio lì, in quel momento, significa altro. Non è solo un animaletto arancione con le chele. Profuma ancora di estate, di mare, di ricordo. E i ricordi, si sa, non vanno ritoccati, smontati e sviscerati come in una sala operatoria. Mi sta mostrando il SUO granchio, quello bello bello che ha preso con papà dopo una strenua caccia.

“ Bellissimo Luca! Raccontami…poi l’hai liberato? “

“Sì mae. L’ho lasciato libero, poverino…”

“Anch’io lo avrei fatto, hai fatto bene”

Sorridono compiaciuti. Sono ascoltati, compresi, accolti. Va benissimo così.

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A proposito di social media

L’estate è la stagione delle belle foto, più o meno “ad effetto”, che ci ritraggono più felici (forse), più abbronzati e riposati (sicuro!) Ho letto critiche sotto il selfie di un noto intellettuale. I commentatori si mostravano stupiti per questa caduta di stile, a loro dire. Da qui una riflessione: quando postiamo foto nostre, lo facciamo esclusivamente perché i nostri contatti ci diano conferme di affetto, di apprezzamento, di vicinanza. Non c’è niente di “sbagliato”, credo, perché abbiamo tutti, indistintamente, desiderio di consenso, bisogno di approvazione.

Ci sono giornate e/o momenti che il sentire una parola buona, anche solo virtuale, rivolta a noi, proprio a noi, fa un gran bene. [Sul concetto di “felicità”: quando e perché abbiamo iniziato a pensare che la tristezza sia “da nascondere” per celebrare ogni anche minima soddisfazione come fosse la vittoria della nostra vita? Perché è così rara l’ammissione di un errore o di un fallimento vero? Eppure le parti “noiose” delle vite hanno fascino indiscusso.]

Per tornare alle foto: un’espressione “antica” definiva l’appagamento immediato, “balsamo” per l’anima. Si sa, è fugace. Ma cosa non lo è?

Quando capita perciò di cercarlo questo appagamento, attraverso una foto, consiglio, senza inutili e antipatichelle ritrosie, di ringraziare chi saluta, chi interagisce. È evidente che se pubblichiamo una foto è perché, in quel momento, ci piacciamo ritratti così. Sennò non la pubblicheremo.

Il problema è che, con il passare del tempo quando mi scatta quel desiderio lì, di approvazione, riempio il telefono di foto scartate.

Alzi la mano chi pubblica alla prima.

Ammettiamolo con leggerezza che lì in quella foto siamo proprio venuti bene, che in quel momento “fermato”, oggi, ora, mentre clicchiamo su “invio”, ci piacciamo assai. È molto più simpatico del classico “non ci vedi bene” o “me l’hanno scattata a tradimento”, che, più o meno, abbiamo usato tutti. La pubblicazione non è mai “un caso”.

Domani, magari, ci piaceremo un po’ meno ma va bene così. Significa che siamo già “oltre”, che siamo diversi da ieri, cresciuti e/o rinsaviti. O irrimediabilmente rincitrulliti.